GENTE DA NIGHT-CLUB

IL LOCALE NOTTURNO COME STILE DI MUSICA E DI INTRATTENIMENTO. NASCE NELL’IMMEDIATO DOPOGUERRA E VIVE NEGLI ANNI CINQUANTA IL SUO PERIODO DI MAGGIOR SPLENDORE: TRA GIOCOLIERI E SPOGLIARELLISTE SI FORMANO GENERAZIONI DI ECCELLENTI MUSICISTI, DA RENATO CAROSONE A LUCIO BATTISTI.

Bruno Quirinetta in “Gente da Night Club” di Michele Bovi, Tg2 Dossier RAI, 31 dicembre 2006.

INTERVISTE E IMMAGINI CHE APPAIONO NEL PROGRAMMA

Interviste
– Peppino Di Capri, cantante
– Roby Matano, cantante
– Raf Montrasio, chitarrista di Renato Carosone
– Aldo Pagani, percussionista di Renato Carosone
– Bruno Guarnera, chitarrista di Marino Marini
– Mauro Chiari, musicista
– Peter Van Wood
– Jack La Cayenne, ballerino e fantasista
– Riccardo Del Turco, cantante
– Umberto Gallone, insegnante di spogliarello
– Franco Barbera, proprietario di night-club
– Khalil Gabriel Nahas, impresario teatrale

Immagini
– Bruno Quirinetta e la sua Orchestra
– Peppino Di Capri e i suoi Rockers
– Don Marino Barreto Junior
– Marino Marini e il suo complesso
– Renato Carosone e il suo complesso
– Dodo d’Hambourg
– Feline
– Jack La Cayenne
– Rod Castel
– Fatima Robin’s
– Wera Nepi
– Abbe Lane
– Ella Fitzgerald
– Chet Baker e Stan Getz
– Armandino Zingone e il suo complesso
– Lucio Battisti
– Mina
– Giorgio Gaber
– Riccardo Rauchi con Sergio Endrigo
– Peter Van Wood e il suo complesso
– Bruno Martino e il suo complesso
– Franco e i G5
– Quartetto Cetra
– Gilbert Becaud
– Roby Matano e i Campioni
– Fred Bongusto e il suo complesso
– Bruno Martino
– Luciano Fineschi e il suo complesso
– Ray Martino
– Fred Buscaglione i i suoi Asternovas
– Nicola Arigliano
– The Primitives
– Patty Pravo

Il fascino discreto del Night-Club

RAF MONTRASIO DA SARONNO, CLASSE 1929, È SCOMPARSO IL 23 OTTOBRE 2015. RAF AVEVA LA MEMORIA SOLIDA COME LA SUA ESPERIENZA DI CHITARRISTA DI NIGHT-CLUB. “I PROPRIETARI AL MOMENTO DEL CONTRATTO, CHE DURAVA DA INIZIO SETTEMBRE A FINE MAGGIO, SI RACCOMANDAVANO SEMPRE CON NOI ORCHESTRALI: LASCIATE IN PACE LE BALLERINE! MA NON C’ERA VERSO: ERANO LORO, LE RAGAZZE, A VENIRCI A CERCARE, IMPOSSIBILE RESISTERE AL FASCINO DELLA PEDANA”.

Raf Montrasio

Raf Montrasio, chitarrista di Renato Carosone.

Storie d’amore di 15 giorni, o meglio 15 notti, quelle della durata dell’ingaggio dei “numeri” del Floor Show, lo spettacolo di mezzanotte e delle 2 che nei locali notturni interrompeva le danze. I componenti dell’orchestra, ovvero il complesso, dai 4 ai 7 elementi, erano i poteri forti dell’animazione. Sensibilità artistica mista a psicologia nel tradurre in musica i gusti degli avventori, disciplina nel rapporto col caporchestra, elasticità nell’orario di prestazione per accontentare i tiratardi, spirito di adattamento nella convivenza non soltanto coi colleghi ma anche con camerieri ed entraineuses, discrezione con tutti costituivano il Mestiere, carta dei valori dell’orchestrale. La perizia nell’uso dello strumento era importante, ma non poteva prescindere dal resto: il night-club era un’azienda, intrattenimento leggero per i frequentatori, impegno rigoroso per gli addetti ai lavori. Flirt a parte. Era apprezzabile che il musicista piacesse al pubblico, alle mogli e alle figlie dei commendatori, pazienza se calamitava anche gli sguardi delle soubrette.
Il night-club degli anni Cinquanta era il ritrovo insostituibile della borghesia. Frequentato dai vip della finanza, della politica, dello spettacolo, con le mogli, con le fidanzate, con le compagne ufficiali. In particolare il sabato sera luogo di ricreazione famigliare con qualche brivido di trasgressione in quello spettacolo di mezzanotte in cui le calze a rete delle ballerine e l’ultimo atto dello spogliarello – con il reggiseno che cadeva lasciando in mostra i capezzoli protetti da stelline di cartone argentato – facevano la peccaminosa differenza con l’abbigliamento castigato del varietà televisivo.

The Landi Girls del Casino di Sanremo

The Landi Girls del Casino di Sanremo.

Ballerine del Teatro Alfieri di Torino nel 1962

Torino, le ballerine del Teatro Alfieri attrazione consueta del Floor Show al Chatham Bar, marzo 1962.

Quella sorta di Agorà coi lustrini terminava all’una. L’orchestra continuava, con un ricambio di pubblico: nuove coppie, o mariti di ritorno dopo aver accompagnato a casa consorti e prole. Luci più soffici, canzoni più sussurrate, i bisbigli e le risate delle entraineuses, i tappi dello champagne, la sordina alla tromba, le spazzole ad accarezzare il rullante, i brani a gentile richiesta, le mance al cantante, il bourbon offerto ai musicisti. Fino alle 2, per il secondo Floor Show, più intimo ma senza sostanziali infrazioni al comune senso del pudore. Poi ancora musica, fino al saluto dell’ultimo habitué. Quindici minuti per sistemare gli strumenti nelle custodie, per cambiare d’abito, per compilare il borderò della Siae, e via nell’unica trattoria disposta a rifocillare la fauna di quell’ora: pizze e sangria per malavitosi ed artisti. Così ogni sera, per tutto l’anno, da settembre a maggio in città, da giugno a fine agosto sull’Adriatico o sul Tirreno.

Dossena Rock Ballet

Il Dossena Rock Ballet al Santa Tecla di Milano, 1960.

Il night-club nasce nell’immediato dopoguerra, erede del tabarin: ospita la frenesia di dimenticare e di ricominciare, contagiato fin dal nome dalla lingua dei vincitori. Americano è il grosso del repertorio musicale, americani sono i modelli Cole Porter, Count Basie, Glen Miller, Louis Armstrong; americanizzati sono i nomi di molti nostri musicisti: pullulano i Frank, i Fred, i Tony, i Joe, i Jack.
È il 1946 e il primo caporchestra re del night-club italiano si chiama Bruno Quirinetta (all’anagrafe Bruno Baldini), veneziano, alla guida di un complesso di sette elementi. Quirinetta canta e soprattutto anima le serate: coinvolge il pubblico come soltanto i più popolari crooner americani riescono a fare. ‘Stardust’, ‘Laura’, ‘Bahia’ ‘Granada’, ‘Le Feuilles mortes’, ma anche ‘Munastero ‘e Santa Chiara’ e ‘Torna a Surriento’ sono i suoi pezzi da bis. Resterà il più ricercato per almeno 10 anni, stabilendo una svolta anche per l’organizzazione del lavoro: è lui ad inventare il non-stop musicale che abolisce l’interruzione di 10 minuti ogni 3 pezzi. Scrive canzoni ed incide dischi, il più famoso è dedicato alla sua Venezia: “Vecio gondolier”.

Bruno Quirinetta

Bruno Quirinetta e il suo complesso.

I più accreditati colleghi di Quirinetta in quel primo periodo sono Cosimo Di Ceglie, Felice Daccò, Dante Galletta, Tino Fornai, Tullio Mobiglia, Roberto Pregadio, il Trio Stella con Bruno Canfora, Armandino Zingone. I capi orchestra scritturano i musicisti attingendo nei gruppi jazz, nell’orchestra Ferrari che già da prima e durante la guerra ha suonato nei varietà trasmessi dalla radio, nelle bande dei paesi per reclutare i fiati. Nel 1946 un orchestrale di night-club guadagna attorno alle 400 lire per sera, ma la moda del locale notturno è in rapida espansione come il mercato del lavoro e anche le paghe dei suonatori lievitano in fretta. Gli anni d’oro del night-club sono quelli del boom economico: i Cinquanta e i primi Sessanta, finchè il fenomeno beat lo spazzerà via dal 1965 in poi. Il killer del night-club si chiamerà Dancing, quando i faretti stroboscopici di Piper, Titan, Vun Vun e Bang Bang debiliteranno le postdannunziane insegne di Astoria, Capriccio, La Porta d’Oro, Pipistrello, El Marocco, Maxim’s, Rangio Fellone.
Raf Montrasio, il musicista che ha aperto questo racconto, è stato un protagonista degli anni d’oro bainait. Studia violino e contrabbasso, ma passa presto alla chitarra per debuttare come professionista nel 1953 in una delle formazioni più quotate, l’orchestra di Armandino Zingone. Raf ha una chitarra Mogar, fabbricata in Italia dagli importatori della Gibson che utilizzano gli stessi magneti dello strumento americano; anche l’amplificatore è made in Italy: un Binson costruito a Milano. “La moda di Fender e Gibson, degli amplificatori Vox e Marshall prese piede anni dopo, con il rock e poi con il beat – spiegava Montrasio – Così come i batteristi italiani, prima che si imponesse Ringo Starr, preferivano alla Ludwig prevalentemente strumenti Premier o Gretsch”. Non esiste ancora la tastiera: ogni locale ha un pianoforte e nemmeno esiste il basso elettrico, c’è il contrabbasso abitualmente affidato ad un musicista “farlocco”. “Sì, il contrabbassista nell’orchestra da night-club era uno che faceva soltanto finta di suonare – ricordava Montrasio – In compenso possedeva una bella voce. Siccome i proprietari dei locali storcevano il naso nell’iscrivere a libro paga un elemento che si limitasse a cantare, i capi orchestra avevano escogitato l’abbinamento con il contrabbasso, che non veniva microfonato. Poi per i dischi si ingaggiava un turnista: in quelli delle mie orchestre ero io a suonare sia la chitarra che il contrabbasso”. Gli altri però erano musicisti provetti. “Magari non virtuosi dello strumento – osservava Montrasio – ma era fondamentale che sapessero leggere la musica a prima vista. Perché bisognava accompagnare i numeri di attrazione: i balletti, gli spogliarelli e tutte le altre esibizioni erano orchestrati dal vivo. Il play-back era un termine blasfemo. E c’era sempre poco tempo per le prove: l’artista consegnava ai suonatori gli spartiti e via maestro col sottofondo. I repertori poi erano sì catturati dai dischi americani, latini, francesi, ma ogni caporchestra arrangiava il brano alla propria maniera, pertanto la musica era tutta scritta, anche per i batteristi, guai a sottovalutare una biscroma”.
Nel 1957 Montrasio entra a far parte del complesso di Renato Carosone, che equivale all’ingresso nella storia. Un balzo in avanti confermato anche dallo stipendio: con Armandino Zingone il chitarrista guadagnava 1.800 lire per sera, con Carosone la paga quotidiana schizza a 15 mila lire.

Aldo Pagani, Piero Giorgetti, Raf Montrasio, Renato Carosone, Gegè Di Giacomo, Tonino Grottola, Gianni Tozzi

Da destra: Aldo Pagani, Piero Giorgetti, Raf Montrasio, Renato Carosone, Gegè Di Giacomo, Tonino Grottola, Gianni Tozzi (Nella foto i componenti della band hanno tutti gli strumenti scambiati, ndr).

Gianni Tozzi, Aldo Pagani, Piero Giorgetti, Renato Carosone, Gegè Di Giacomo, Raf Montrasio, Tonino Grottola

Da sinistra: Gianni Tozzi, Aldo Pagani, Piero Giorgetti, Renato Carosone (e dietro Gegè Di Giacomo), Raf Montrasio, Tonino Grottola (In questa foto hanno i rispettivi strumenti, ndr).

Carosone è del 1920, pianista diplomato al Conservatorio di Napoli, già forte di un lustro d’anni di esperienza nei locali di Addis Abeba, tornato in patria aveva creato nel 1949 un trio con il chitarrista olandese Peter Van Wood e il batterista Gegè Di Giacomo.

Renato Carosone presenta Gegè di Giacomo e il suo complesso “‘O pellirosse” (Cinebox, 1961).

Poi Van Wood decide di lavorare in proprio, forma un suo gruppo, compone ed incide brani deliziosi come ‘Butta la chiave’ e diventa una voce e una faccia popolare di radio e tv, restando un protagonista nei calendari dei night-club della penisola. Ma Carosone nella seconda metà dei Cinquanta è famosissimo. Con l’ingaggio di Montrasio alla chitarra la formazione vede al piano sua maestà Renato, confermato alla batteria Gegè Di Giacomo, ai sax Tony Grottola e Gianni Tozzi, con Aldo Pagani che suona vibrafono e marimba e Piero Giorgetti che canta e nel rispetto della tradizione fa finta di suonare il contrabbasso. “Il 1957 fu l’anno trionfale di ‘Torero’ – racconta Aldo Pagani, classe 1932, originario di Saronno come il collega Montrasio – La canzone era stata scritta per una tournée in Spagna ma spopolò in Italia come in tutto il mondo, tradotta in una decina di lingue. Carosone volle aggiungere alla sua musica il suono esotico della marimba: per questo venni ingaggiato io. Provenivo da un trio di night-club con Tony De Vita e Marcello Minerbi: suonavamo all’Astoria di Milano. Mi ritrovai un mese dopo con Carosone alla Carnegie Hall di New York”. ‘Torero’ scalò il vertice della Hit Parade statunitense e Carosone fece da apripista all’exploit dell’anno successivo di Domenico Modugno, “Mister Volare”.

Marino Marini e il suo complesso

Marino Marini e il suo complesso.

La popolarità planetaria di Carosone era altresì seconda, soprattutto in Europa, a quella di un’altra formazione italiana da night-club, l’orchestra di Marino Marini. “A Parigi con Carosone suonammo all’Alhambra, ribalta di assoluto prestigio, ma eravamo la ‘vedette americana’, ovvero la seconda orchestra: in primo piano c’era la cantante Zizi Jammaire – raccontava Raf Montrasio – Negli stessi giorni l’orchestra Marini era l’attrazione numero uno dell’Olympia, il tempio mondiale dello spettacolo”. Marino Marini (1924-1992) originario di Grosseto ma romagnolo di adozione, è celebre in Francia come in Olanda, in Giappone come in Germania. Suona nei night-club dal 1948, ma collabora anche con Renato Rascel nella composizione delle musiche delle sue riviste. Mentre il repertorio di Carosone è principalmente d’impronta personale, con brani napoletani arrangiati in assonanze sudamericane, quello di Marini è un autentico compendio di musica da night-club: vastissimo, rigorosamente ballabile, ricco di cover italiane universali come ‘Guaglione’ e ‘Piove’ o straniere come ‘Itsy Bitsy’ di Brian Hyland trasformata con successo in ‘Pezzettini di bikini’, il tutto confortato da una produzione personale con canzoni celebrate in patria ed esportate ovunque come ‘La più bella del mondo’, ‘Non sei mai stata così bella’, inclusi astuti brani-passaporto quali ‘Tel Aviv’ e ‘Amore a Palma di Mallorca’.

Quartetto Marino Marini “Tel Aviv” (Cinebox, 1963).
Bruno Guarnera

Il chitarrista di Marino Marini, Bruno Guarnera.

Marino Marini e il suo complesso

Marino Marini e il suo complesso.

Così come la formazione di Carosone, in cui il batterista Gegè è conosciuto almeno quanto il caporchestra, anche quella di Marini gode di ampia visibilità televisiva. La voce solista è Ruggero Cori – col solito contrabbasso afono – poi sostituito da Vito Benvenuti; Marini è il pianista e suo cognato Angelo Piccaredda suona la batteria; alla chitarra c’è Toto Savio poi rimpiazzato da Bruno Guarnera. “In Italia eravamo l’orchestra da night-club per eccellenza, all’estero degli autentici divi – racconta Bruno Guarnera, classe 1939, bolognese – nello stadio di Mosca suonammo davanti a 100 mila spettatori. A Londra nel 1960 venne ad accoglierci all’aeroporto una Roll-Royce scoperta e nel tragitto fino all’hotel fummo acclamati da una folla che avremmo rivisto soltanto anni dopo, nei filmati dei Beatles”. Va detto che lo stesso Paul McCartney ha raccontato che quando i Beatles, all’epoca sconosciuti, suonavano ad Amburgo, appena possibile andavano ad assistere alle esibizioni nel night-club più esclusivo della città dell’orchestra di Marino Marini, che peraltro ritenevano di nazionalità spagnola.

Gino Corcelli

Gino Corcelli.

Armandino Rosati e il suo complesso

Armandino Rosati e il suo complesso.

Armandino Rosati.

Armandino Rosati.

Per tutti gli artisti di night-club la periodica trasferta all’estero era consuetudine consolidata. Rientrava nella norma sancita dagli impresari che coniugavano il ruolino di marcia delle orchestre con la programmazione dei circa 300 locali italiani e il circuito internazionale, compreso il calendario delle navi da crociera. Anche la figura dell’impresario dell’orchestra da night-club nasce nell’immediato dopoguerra: inizialmente si chiama procuratore di artisti, poi anche il suo nome si allinea al dizionario anglosassone e diventa manager. Le agenzie più attive negli anni d’oro del night-club sono le romane Tagliaferri, Minasi e Gerini; le milanesi Berri, Sabbatucci e Scaffidi: la modenese Bernabei; la sanremese Valdinoci; le fiorentine Moschini e Bentivoglio.
Piero Bentivoglio, classe 1920, è originario di Siena. Durante la guerra è il pianista del complesso Millepiedi: suonano nei circoli rionali fiorentini, nei dopolavoro del pubblico impiego. Poi arrivano gli americani, vogliono music-and-dance e ai Millepiedi non di rado capita di esibirsi nello stesso giorno anche in tre posti diversi, piste da ballo ricavate nelle sedi della Red Cross, della Military Police, negli alberghi requisiti dalle forze alleate. Scoppia la pace con la smania di oblio e svago, debutta l’avventura dei locali notturni e i Millepiedi trasferiscono strumenti e repertorio nel Pozzo di Beatrice, primo night-club fiorentino. “Suonavamo anche per Radio Firenze, diretta da Silvio Gigli – ricorda Bentivoglio – Mi mancavano tre esami alla laurea in scienze politiche ma gettai gli studi alle ortiche per l’orchestra di cui ero anche il manager. Poi, nel 1948, per ragioni di salute lasciai il pianoforte e cominciai a dedicarmi esclusivamente al lavoro di agenzia. Sono stato il manager di tutti i migliori artisti italiani e posso affermare che tutti i più grandi sono nati o cresciuti nel night-club. Fui tra i primi a scommettere su Sergio Endrigo. Era il 1955, lo incontrai a Venezia e lo scritturai per l’Orchestra di Vittorio Buffoli: 2 cantanti, Sergio voce e contrabbasso, e Fred Bongusto voce e chitarra. Due galletti di razza che riuscii a far convivere e portare assieme in trasferta a Beirut, dove all’epoca operavano i night-club più all’avanguardia del mondo. Le parentesi all’estero erano fondamentali per gli artisti: equivalevano a corsi di aggiornamento, si confrontavano con la realtà e la musica e i ritmi internazionali. Al ritorno rinnovavano mezzo repertorio e friggevano di entusiasmo. Inoltre all’estero si guadagnava di più che in Italia e i nostri corrispondenti di agenzia coadiuvavano con attenzione le orchestre dal momento della sistemazione logistica a quello del versamento dei contributi”.
Al ritorno da Beirut i “galletti di razza” Sergio e Fred si dividono. Sergio Endrigo (Pola, 1933-2005) è ingaggiato come cantante (col solito contrabbasso a seguito) nella formazione di Riccardo Rauchi (Roma, 1920-1982) eccellente sax contralto che prima di affermarsi come titolare di una delle orchestre più rinomate del night-club italiano aveva militato nel complesso di Carosone.

Fred Bongusto

Fred Bongusto, Berlino, ottobre 1962.

Fred Bongusto (Campobasso, 1935) entra a far parte in veste di cantante-chitarrista dei Quattro Loris; il leader è il pianista Loris Boresti, vecchio amico di Sergio Endrigo di cui diventerà successivamente l’accompagnatore musicale. “Conobbi Sergio nel 1952 – racconta Loris Boresti, classe 1927, veneziano – me l’aveva segnalato Italo Donaggio, pluristrumentista padre di Pino. Lavorammo assieme anche in quello che viene considerato il capostipite dei night-club italiani, il Martini Scala di Venezia, negli anni Trenta ardito ed elegante tabarin, prediletto da Gabriele D’Annunzio. Sergio era perfetto per il night-club: repertorio inglese, francese, sudamericano, testi autentici e non lingue maccheroniche come molti usavano azzardare in quell’epoca. Nel 1959 gli proposi di tornare a suonare assieme. Mi rispose che aveva deciso di restare a Milano, per tentare la carta discografica. Fece la cosa giusta e dieci anni più tardi mi volle come suo pianista”.
Nella seconda metà degli anni Cinquanta il night-club italiano vive la fase di più intensa luminosità. I locali di prima scelta sono una cinquantina, almeno 200 quelli di seconda, più altri cinquanta postacci spennaclienti. Tutti hanno bisogno di orchestre e i night-club rinomati – e quelli che aspirano a diventarlo – ne richiedono 2 per sera. C’è la prima orchestra e quella di spalla adibita ad accompagnare i numeri del Floor Show: mai un attimo di pausa, nemmeno per il cambio dei musicisti che effettuano il passaggio di consegne sulle note di ‘Blue Moon’, suonata in Do maggiore o in Mi bemolle se una delle due orchestre schiera fiati.
Il reclutamento dei musicisti, che cambiano spesso soprattutto a causa della ferma militare, di regola avviene in tre luoghi atipici: la Galleria del Corso di Milano, la Galleria Colonna di Roma, la Galleria Umberto di Napoli.
A Quirinetta, Armandino, Carosone, Van Wood, Marini, a Rauchi che ha sostituito al microfono Sergio Endrigo con Riccardo Del Turco (cognato di Endrigo), nell’empireo del night-club si è aggiunta da tempo un’orchestra specializzata in musica sudamericana: il sestetto di Franco e i G5, il cui leader Franco Rosselli, batterista e cantante fiorentino, contende a Quirinetta la fama di irresistibile trascinatore di platee.

Franco Rosselli e i G5

Franco Rosselli, leader di Franco e i G5.

È invece effettivamente cubano Don Marino Barreto Junior (1925-1971) che diventa stella del nostro night-club e beniamino del pubblico televisivo italiano. È leccese Ray Martino, il nostro esecutore più ferrato sul repertorio nordamericano; è torinese Luciano Fineschi, trombonista appassionato di Glen Miller. Torinese è anche Fred Buscaglione, il più originale ed innovativo degli artisti del genere. Buscaglione (1921-1960) ha una solida preparazione musicale, suona diversi strumenti e sfoggia voce e stile personalissimi. I brani del suo repertorio sono per lo più composti da lui assieme a Leo Chiosso, paroliere ed amico inseparabile. “Non era il repertorio un po’ impersonale tipico del night-club, bensì un abito di brani cucito a misura sul suo personaggio e la gente inizialmente mostrava di non apprezzare appieno il temperamento di questo eccezionale showman – racconta Piero Bentivoglio, che fu manager di Buscaglione – Una sera a Santa Margherita Ligure sfogò con me tutta la sua amarezza per l’incomprensione del pubblico: voleva smettere. Fu la televisione ad aiutarlo: il piccolo schermo dava l’adeguato risalto alla sua esilarante maschera di duro, alle sue canzoni esplosive con quei testi spassosi ed unici. E i night-club, con Fred e gli Asternovas, cominciarono a ottenere il tutto esaurito”. Negli Asternovas militano Giulio Libano alla tromba, Giorgio Giacosa al sax, Berto Pisano al contrabbasso, Franco Pisano alla chitarra, Piero Silvestri alla batteria e Carletto Bussotti al piano (poi sostituito da Dario Arrigotti).
Le incomprensioni lamentate da Buscaglione erano in realtà fisiologiche alla natura del night-club, un luogo dove il pubblico andava per danzare, per incoraggiare un approccio tenero, per flirtare. Da guardare c’era soltanto il Floor Show, i numeri dei fantasisti, lo strip-tease, le ballerine, ma l’orchestra non era uno spettacolo a cui assistere da seduti, era musica da ballo. E questo non significava indifferenza nei confronti degli artisti: un guancia-a-guancia mentre Bruno Martino cantava ‘Baciami per domani’ era considerato per tutto il suo valore.

Clem Sacco accanto alla locandina di Bruno martino

Clem Sacco al Lido Trianon di Milano accanto alla locandina di Bruno Martino, 1963.

Bruno Martino (1925-2000), originario di Roma, esordisce come pianista jazz. Nel 1944 viene scritturato dall’orchestra della Rai diretta da Piero Piccioni. Ma il suo indirizzo artistico è il night-club. E va all’estero ad acquisire pratica. Suona e canta per una decina di anni nei locali notturni del Nordeuropea, poi torna in Italia con un bagaglio di esperienza impareggiabile che mette a frutto grazie a un timbro di voce suadente e alla genialità di comporre brani in osmosi con l’atmosfera del night-club. Lo stile di Martino è sostanzialmente emblematico del genere: inconfondibile ma per nulla invadente. Misurato. “Bruno Martino, Fred Bongusto e Peppino Di Capri erano i re del night-club.

Peppino Di Capri e i suoi Rockers

Peppino Di Capri e i suoi Rockers, 1960.

È un luogo comune, che per quanto mi riguarda non corrisponde a verità – osserva Peppino Di Capri, classe 1939 – Martino lo era a tutti gli effetti. Io invece ho vissuto per pochissimo tempo l’ambiente del night-club. Ho debuttato nel 1953 al Number Two, poi ho suonato al Gatto Bianco, entrambi a Capri. Nel 1956 feci la mia prima apparizione in tv e da quel momento ho cambiato genere: più attrazione che orchestra da night. Preferivo avere gli occhi del pubblico puntati su di me, anche se ciò comportava un impegno maggiore. O comunque un impegno diverso. L’orchestra da night aveva orari più lunghi di lavoro, in compenso poteva concedersi qualche disattenzione: una stonatura, una stecca scivolavano via senza suscitare disappunto”.
Rare le presenze femminili nelle orchestre. Due su mille. C’è Fatima Robin’s, moglie di Buscaglione, che si afferma come cantante. Fred aveva conosciuto Fatima Ben Embarek, originaria del Marocco, nel corso di una scrittura presso un night-club di Lugano, il Cecile. Lei si esibiva in numeri di acrobazia e contorsionismo nel Trio Robin’s.
E c’è Wera Nepy, lombarda, rossa dalla voce potente e sensuale, moglie di Paolo Cazzaniga, proprietario di uno dei night-club più in voga a Milano: El Marocco.

Ballerine night club

Eppure la donna è protagonista assoluta in quel genere di intrattenimento, di cui l’erotismo è l’essenza superiore. Il Floor Show, lo spettacolo che interrompe le danze, è l’apoteosi del richiamo sessuale. 60 minuti, tra numeri di comici, fantasisti, ballerine e – perla nell’ostrica – lo strip-tease. Le vedette internazionali che hanno fatto dello spogliarello un’Arte si chiamano Miss Fortunia, Rita Cadillac, Vera Little, Ida Frascati, Carolina Von Sirowetz, Rita Renoir, Dodo d’Amburgo.

Locandine spettacoli night-club: La Nave, La caravella d'Oro, Rita Renoir

“Erano numeri di inappuntabile eleganza, mai una caduta di stile, bandito ogni indizio di volgarità. Altroché cubiste di oggi!” racconta Jack La Cayenne. Alberto Longoni, classe 1937, originario di Giussano, debutta ragazzino nel 1952 all’Embassy di Milano come ballerino-comico: guadagna mille lire per sera. È figlio di un bravo musicista e a sua volta suona il violino. Ma soprattutto ha un corpo e un viso duttili come la gomma. Lui cammina e tu ridi. Con il nome d’arte di Jack La Cayenne fa ripetutamente il giro del globo, è tra i comici più richiesti nei night-club di tutto il mondo. “Il Floor Show iniziava con il balletto, il più prestigioso era quello delle Bluebelles, ragazze che una scuola di Londra sfornava periodicamente: tutte uguali, alte 1.80, poco seno, occhi magnetici e gambe lunghe – ricorda Jack La Cayenne – poi venivano un paio di fantasisti, un giocoliere come lo spagnolo Brum o un illusionista come il californiano Channing Pollock; seguiva il numero di arte varia, come le Rudas Dancers, danzatrici acrobatiche australiane o Tum-Tum il nano cantante portoricano; poi c’era il mimo-comico, come me o il francese Gerard Satie o l’inglese Dave Parker. E infine l’attesissimo strip-tease, otto minuti di ipnotismo incandescente. La più incantevole? Dodo d’Amburgo nel numero della vedova nera. Il balletto tornava per chiudere lo spettacolo”.

Ballerine night-club

A gestire calendari ed ingaggi delle vedette internazionali erano principalmente 3 agenzie di Milano: quelle degli impresari Sacchi, Ivaldi e dei fratelli Schiavoni. Ma molti tra i proprietari dei night-club più prestigiosi si adoperavano anche in veste di manager. Come Angelo Rosolino, patron dello Shaker di Napoli, il primo a credere in Carosone e Van Wood, o Lino Cruciani titolare della Rupe Tarpea di Roma, che ospitò a lungo due giovanissimi chansonniers francesi: Gilbert Becaud e Charles Aznavour.
Una cinquantina di night-club di serie “A”, oltre duecento di serie “B”, altri non classificati. “La differenza la faceva l’ambiente, le entraineuses innanzitutto. Discrete, quasi invisibili fino a notte fonda nei locali alla moda; evidenti se non addirittura impetuose via via che la qualità diminuiva – racconta Roby Matano, caporchestra dei Campioni – Non accadeva altrettanto con gli artisti. Anche nei night-club più modesti suonavano orchestre inappuntabili, perché i clienti delle ultime ore, nottambuli dai mestieri indefiniti e dai portafogli gonfi, pertanto autorevoli agli occhi del proprietario, avevano gusti raffinati in termini di musica. Al padrone, in tutta Europa, erano concessi tre giorni per confermare l’orchestra o protestarla”.
Roby Matano, nato nel 1934 a Cisterna di Latina, diventa il cantante dei Campioni nel 1958, preceduto da Tony Dallara e da Corrado Lojacono. È un complesso di rango, uno dei pochi ad affacciarsi alla ribalta televisiva de Il Musichiere di Mario Riva. Dal 1958 al 1965 Roby Matano e i Campioni sono orchestra stabile per tre mesi l’anno nel night-club del Casinò di Sanremo. Nel 1963 entra a far parte del complesso un nuovo chitarrista, Lucio Battisti, sostituisce il jazzista Nino Grassi. “Lucio aveva già fatto esperienza di night-club suonando nell’orchestra di Leo di Sanfelice – ricorda Matano – con lui debuttammo alla Rupe Tarpea di Roma poi partimmo per un lungo contratto in Olanda. Il night è stata una scuola determinante nella formazione artistica di Battisti come per tanti altri musicisti dell’epoca, divenuti in seguito famosi, come i pianisti Enzo Jannacci e Memo Remigi, il chitarrista Giorgio Gaber, i cantanti-bassisti Riccardo Del Turco e Gigi Proietti”.

Lucio Battisti con l'orchestra "Gli Svitati di Leo di San Felice"

Lucio Battisti (in alto a destra) in una foto dell’orchestra "Gli Svitati di Leo di San Felice", scattata a Sciaia nel 1962; il bassista, Mauro Chiari (il ragazzo con le mani sulla testa), successivamente fondatore del gruppo beat Le Pecore Nere dirigerà l’orchestra di Quelli della notte di Renzo Arbore.

Il night-club è pratica di mestiere e di vita, è lavoro continuativo e decorosamente remunerato, ma è anche esercizio di faticosa routine. “La lamentela che circolava solitamente era: io sono un artista, ma conduco un’esistenza da impiegato, con l’aggravante di vivere in antitesi coi miei simili: lavoro di notte e dormo di giorno – racconta Riccardo Del Turco, fiorentino, classe 1941 – Quella dell’orchestrale di night-club in buona sostanza era un’attività di servizio, da altruisti. Per sua natura l’artista necessita di diversa gratificazione. Esibirsi mentre le coppie ballano, si corteggiano, si baciano per molti era mortificante. Per questo tanti colleghi al night-club preferivano le feste di piazza, nei paesi, o le balere: meno continuità ma più visibilità”.

Il compromesso lo escogita Sergio Bernardini con La Bussola di Focette a Marina di Pietrasanta: nasce come night-club ma si trasforma presto in elegante salotto di attrazioni. Inaugurato nel 1955 con il Trio Carosone, il locale divide la serata in due momenti: quello del ballo con l’orchestra di base e quello della vedette, che non è soltanto il numero di varietà internazionale bensì anche il cantante da ascoltare e guardare, da seduti. Qui passano tutti, da Ella Fitzgerald a Ginger Rogers, da Marlene Dietrich a Josephine Baker, da Juliette Greco a una esordiente Mina. E la Bussola resta per dieci anni il sogno di tutti i musicisti: un palco vero, simile a un teatro, con un pubblico che ti giudica, applaude e fischia.
Con gli anni Sessanta, il rock, il beat, i locali da ballo, pomeridiani e notturni, si moltiplicano in città e nelle località di villeggiatura. Il genere night-club resiste fino a metà decennio poi è costretto al bivio: conversione o chiusura. Scompaiono i Floor Show, le entraineuses, arrivano i capelloni: un ragazzo su 30 strimpella uno strumento, uno su cento diventa musicista per diletto. E finalmente i bassisti hanno l’amplificatore acceso e suonano sul serio. Anche se più nessuno sa leggere lo spartito.

Michele Bovi con Gegè Di Giacomo

Michele Bovi con Gegè Di Giacomo, 1976.

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