Filosofo dell’improvvisazione
“Il jazz è gioia: anche il brano più languido, più struggente, che sia My Funny Valentine di Chet Baker o I Remember Clifford di Benny Golson, esplode di energia appena all’esposizione del tema subentra l’improvvisazione. È il momento liberatorio del musicista, c’è esultanza in lui anche se la sequenza di note ispira malinconia. L’improvvisazione è una maschera teatrale, un camuffamento dello stato d’animo, il più efficace degli analgesici per lo spirito: tu suoni e l’appagamento ha la meglio su tutto il resto”. Così Nunzio Rotondo, la tromba jazz più autorevole della musica italiana, ci illustrò il suo senso per l’armonia generale quella sera del 1999, appena terminato di fraseggiare la toccante You Don’t Know What Love is. Eravamo scesi dal palco del Ti Voglio Bere, un Jazz Bar nel quartiere Prati di Roma: Claudio Colasazza al pianoforte, Dario Rosciglione al contrabbasso, Gianni Iadonisi al sax tenore, io al sax baritono per accompagnare lui, Nunzio Rotondo, il “Miles Davis italiano”, lo strumentista che il mio idolo Sonny Rollins non dimenticava di chiamare ogni volta che transitava nel nostro Paese.
1959. “Bernie’s Tune”. Nunzio Rotondo alla tromba e Gil Cuppini alla batteria. Frammento dal programma “Il Mattatore”. (Per visione o acquisto dell’intero filmato scrivere a www.teche.rai.it)
Così incontenibile era la sua voglia di suonare da non perdersi in distinzioni tra professionisti e dilettanti da ammettere in squadra. “L’improvvisazione è come ‘A Livella di Totò – rispondeva alle dichiarazioni di modestia – ci dispone tutti sullo stesso piano”. Sì, magari. Eppure era sincero Nunzio Rotondo che poneva l’improvvisazione al centro dello scibile musicale. Giocava coi paradossi a riscrivere la storia del jazz. “Ma quali americani! Il jazz è universale, è ubiquo, è nell’aria, è sempre esistito. Dimentichiamoci il ritmo: il jazz è soprattutto improvvisazione e l’improvvisazione era il terreno di sfida tra Mozart e Muzio Clementi, l’incentivo del genio di Bach, il propellente creativo del giovane Beethoven, il soffio vitale del codice gregoriano nella musica sacra”.
1978. Nunzio Rotondo (tromba), Bruno Biriaco (batteria), Enzo Scoppa (sax tenore), Stefano Lestini (piano elettrico), Franco D’Andrea (pianoforte), Dodo Goya (contrabbasso). Frammento dal programma “Incontro con Nunzio Rotondo”. (Per visione o acquisto dell’intero filmato scrivere a www.teche.rai.it)
Patrocinatore di ogni contaminazione purché diretta a esaltare il jazz era allegro e soddisfatto per aver coinvolto qualche settimana prima Lucio Dalla in una serie di concerti per tromba e clarinetto e addirittura nella riscrittura swing di 4 marzo 1943. Come per Vinicius de Moraes anche per Nunzio Rotondo la vita era l’arte dell’incontro: però un incontro ravvisato in una prospettiva settaria, quella di stabilire un contatto suonando assieme, con chiunque sapesse esprimersi improvvisando. Nunzio Rotondo se n’è andato il 15 settembre del 2009. Ci ha lasciato tanti dischi belli e il ricordo della sua appassionata storia d’amore. Per la musica jazz.